Un aquilone in cerca del cielo
La perseveranza non è certamente la mia arma più forte, a
dimostrarlo sono queste lettere.
Sono già trascorsi due anni dalle primissime che ti scrissi (1 e 2),
due anni e le nostre strade non si sono ancora incrociate.
Io e il mio Einaudi siam rimasti soli ad aspettarti qui nella
solita postazione, ed ovunque volga lo sguardo sento le acute note di un
violino discordato affrangermi la mente di fantasmi.
Guardami, mi faccio una qualche tenerezza: quando si tratta di parlarti non riesco che a scrivere frasi semplici, elementari, come se mi emozionassi e perdessi il filo del discorso ancor prima di iniziarlo.
Guardami, mi faccio una qualche tenerezza: quando si tratta di parlarti non riesco che a scrivere frasi semplici, elementari, come se mi emozionassi e perdessi il filo del discorso ancor prima di iniziarlo.
Quanti aneddoti avrei da raccontarti, quest’ultimo anno è
stato il migliore che abbia mai vissuto, credevo che dopo Milano non avrei più
avuto questa possibilità. Sicura che smettessi di respirare da un momento all’altro
ho iniziato a scrivere un nuovo indice di vita, meno articolato, più emotivo.
Sull’orlo del baratro non hai più tempo di pensare a nulla, in preda alla
voglia di morire o di vivere, puoi solo regolare l’intensità del tuo tempo
restante, racimolare quel che di buono resta e viverlo, in attesa che la fiamma
si espanda e consumi anche l’ultimo truciolo di fiammifero.
Ma adesso Milano, sei il mio prologo, la mia venuta al
mondo, l’alfa della mia vita e mi sento certa del fatto che non sia nata in
quel dì settembrino, son nata nella tua stazione centrale, con una valigia fucsia
di 32kg, un bagaglio e due litri di acqua. Ho tre anni, quasi quattro e sono una
bambina alle prese con le parole, che confusa le avvicina l’una all’altra e con
stupore legge e ama.
Oggi mi sento così e tu, demone decantato in Zarathustra se
ti presentassi ora al mio cospetto, credo che spalancherei ogni porta di questa
casa, adornerei il palazzo a festa e per la gioia ti solleverei facendo un giro
su me stessa.
Se nulla è casuale mi chiedo, dove mi porterà tutto
questo? Non so più in cosa e se credo, se sono un’equilibrista in movimento o
un’osservatrice in stasi.
So che non ci sei e questo basta per giocare a fare l’aquilone
fra le mura di un corridoio sognandoti ad occhi aperti e con le braccia spalancate
muovermi fra le note di melodie e prose che vorrei avere scritto di mio pugno.
Confido nell’anno che è in essere, ti scriverò ancora,
stavolta senza prometterti nulla.
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